giovedì 31 gennaio 2013

La parola di oggi è "credere"

"Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma anche che il rock n' roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri."

Radiofreccia (1998)

Credere. In Italiano direi che il significato è semplice. Io credo in qualcosa oppure a qualcuno. Però in latino il verbo "credo" ha un'ulteriore sfumatura: significa anche affidarsi. Se ci pensiamo bene c'è una parola molto comune che riprende quest'idea: credenza. Non parlo ovviamente della cosiddetta "credenza popolare", ma di quella in legno e chiodi, che abbiamo nelle nostre case per conservare piatti, cibi o simili. Letteralmente la credenza è il luogo al quale noi affidiamo i nostri averi. Allo stesso modo quando noi crediamo a qualcuno gli stiamo affidando tutto quello che abbiamo. La fiducia è ormai l'unica cosa su cui si possono basare i rapporti. Lo spirito di sacrificio, il riprovarci, non sono più per l'oggi. Se vuoi bene a qualcuno l'unica alternativa che hai per tenertelo stretto è quella di essere credibile ai suoi occhi. Dobbiamo imparare ad aprire le ante del nostro cuore, a farci occupare e, al contempo, a fare un piccolo sforzo per depositare le cose a cui più teniamo sui ripiani di qualcun altro. Dopotutto si tratta di una credenza, non di una cassaforte, possiamo sempre riprenderci ciò che ci appartiene.

martedì 29 gennaio 2013

La parola di oggi è "gelosia"

“Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero d’esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.”    

R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso.   

Gelosia è sicuramente una delle parole che più mi appartiene. Sono gelosa di tutto, dei libri, delle persone, del mio pc, del cibo nel mio piatto. Devo dire che l'italiano non mi aiuta e non mi giustifica. Sono dovuta andare più indietro, ho dovuto trovare le radici di questa parola per capire perché tanto me la sento dentro.
In latino "zelus" significa semplicemente gelosia, oltre che zelo, ma, avventurandomi sulla pagina, mi sono accorta che esiste "zelo", un innocuo verbo regolare di prima coniugazione. Questo ha due significati: oltre ad "essere geloso", anche "amare ardentemente". Allo stesso modo, sul Rocci trovo ζῆλος "trasporto ardente", "amore". La gelosia insomma è, almeno per me, una forma d'amore. Forse l'unica che mi è rimasta. Le reazioni violente sono quelle che più ci ricordiamo perché sono le meno ovvie. Diciamo sempre "oggi ho litigato con i miei" e mai "oggi mia mamma mi ha voluto bene". Ci ricordiamo delle discussioni e, soprattutto, del senso di amore che ci invade quando torna il sereno, quando perdoniamo o siamo perdonati. Nessun rapporto può vivere solo di tranquillità, ci vuole quell' "amore ardente" perché possiamo capacitarci di quanto siamo legati, perché possiamo sentire ancora i pugni nello stomaco (beato chi nella vita ha sentito solo lo svolazzare leggero delle farfalle!). La prossima volta che sarò gelosa, mi ricorderò di essere anche zelante e, prometto, userò tutta questa forza anche per creare, non solo per esplodere.









lunedì 28 gennaio 2013

Vai dove ti porta...

"Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va' dove lui ti porta."

S. Tamaro, Va' dove ti porta il cuore.

Oggi pomeriggio ho sentito il bisogno irrefrenabile di leggere un libro. Mi sono sentita quasi trascinata fino alla piccola libreria della mia città. Avevo già deciso quale libro leggere, ma ho comunque voluto guardarli tutti. Sarò rimasta più di mezz'ora e in tutto questo tempo nessun altro è entrato nel negozio. Siamo abituati alle grandi librerie milanesi, sempre affollate di gente che, probabilmente, di libri ne compra pochi e ne legge ancora meno. Si rifugia lì nell'attesa del treno, degli amici, dell'inizio dell'ora di lezione, ma poi non legge. Al giorno d'oggi dovrebbero chiederlo persino ai colloqui di lavoro se uno è lettore oppure no, dovrebbe essere un valore aggiunto, fondamentale. I lettori dovrebbero avere la precedenza, come le donne incinte al supermercato.
Alla fine ho comprato "Va' dove ti porta il cuore". Il libro è stato ristampato di recente dalla Bompiani che l'ha inserito tra i romanzi "vintage" (si, purtroppo la collana si chiama proprio così!). Credo che Calvino l'avrebbe definito un classico, visto che, quando un romanzo è immortale, si può tranquillamente definire tale. Temo che questo sia solo uno dei tanti campanelli d'allarme che la società ci manda. I classici sono per definizione (ma soprattutto per sentito dire) noiosi. Essere un classico non è più in, molto meglio essere vintage, come le gonne anni '50. Non mi stupirei se la prossima ristampa dei Promessi Sposi finisse nella collana "evergreen".

Bisogna saper dire: benvenuto!

"Ci fermiamo all’idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, anche semplicissima, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo quel personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega, il casino che c’è attorno, tutta la gente che passa, il colore delle cose, i rumori."

A. Baricco, Mr Gwyn

Siamo tutta la storia, forse siamo tutti la stessa o siamo storie simili.
Forse proprio qui puoi trovare quel piccolo pensiero bello, e quindi vero, che poi ti salva.