“I numeri primi sono divisibili
soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto
nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra
due, ma un passo più in là rispetto agli altri. Sono numeri
sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi.
Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per
sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in
una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe
piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per
qualche motivo non ne fossero capaci.”
P. Giordano, "La solitudine dei numeri primi".
Numero porta in sé la stessa radice di
“νόμος”, regola, e quella di “νέμω”, distribuire. I
numeri della nostra vita, quelli fortunati, quelli degli esami,
quelli delle camere d'albergo, sono quindi lì per un motivo, perché
c'è una regola, perché sono toccati a noi e a nessun altro. Quando
ero piccola non lo sapevo qual era il mio numero preferito, se me lo
chiedevano mi veniva in mente un colore o qualcosa che non era
numero, e finivo per dire 23 o 2 o altri numeri a caso. Qualcuno mi
diceva che il 13 era quello giusto per essere fortunati, e forse
qualche volta ho risposto 13, dilungandomi e perdendomi in noiose
storie famigliari. Oggi credo che il numero giusto per la vita sia il
3. Non saprei spiegare bene il perché, ma so che 2 è un numero che
non è mai abbastanza, ci vuole qualcosa di più, ci vuole il 3.
Quando si è in 2 se uno si stufa, si ammala, impazzisce, non c'è
più niente da fare, rimane l'1. E l'1 non è un buon numero, anche
se le monoporzioni dei supermercati vogliono farci credere che sia
così. Il 3 è la base di partenza, poi viene tutto il resto, ma
quello è il requisito minimo. Persino le coppie più sole, quelle
senza amici, hanno una famiglia alle loro spalle o fanno dei figli
per crearsela, e non sono più 2.
Alle mie amiche “occhi di gatto”,
anche loro erano in 3 dopotutto.