mercoledì 4 febbraio 2015

La parola di oggi è "futuro".

“Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita.”

M. Barbery, "L'eleganza del riccio".

“Certo che a voi il futuro vi ammazza”, mi ha detto così una persona, circa un mese fa, interrompendo i miei sproloqui. Credo di aver risposto solamente “si”. Nella mia vita ho sempre fantasticato su come arredare il mio futuro, ma mai mi sono realmente fermata a chiedermi che cosa fosse.
La parola “futuro” deriva “fuo” uno di quei verbi sostituiti prima dal “sum” latino e poi dal nostro “essere”. Essendo un participio con idea di posteriorità, questa parola significa letteralmente “che sarà, che è per essere”. Fin qui niente di male, tutto mi sembra, come sempre, proiettato in avanti. Ma cosa di questo “fuo” è rimasto nella nostra lingua oggi? Soltanto il passato remoto: “fui”. Nemmeno un passato “recente”, qui si parla proprio di remoto.
Per tutto questo tempo, in pratica, mi sono ostinata ad arredare una casa che in realtà, passo dopo passo, avevo già sistemato, mettevo mobili enormi negli spazi in cui già c'erano le mensole con i miei libri. Ho arredato due case in pratica, ecco perché sento di aver fatto così tanta fatica.
Basterebbe fermarsi un attimo per capire quanto in realtà facciamo per noi ogni giorno, con i fatti e non con la fantasia. Tutto quello che saremo è, in sostanza, tutto quello che siamo stati. O meglio: che fummo.